(Foto: Mercurio Saraceni) |
DUE O TRE COSE SULLE RECENTI VICENDE D’ERCE
di Luigi Murolo
Ho letto su vari organi di informazione che si stanno raccogliendo fondi per la piantumazione della scomparsa riserva di Punta d’Erce (e non Aderci). Devo dire che l’iniziativa mi sorprende. Non certo per la buona volontà di ripristinare l’area devastata (da questo punto di vista, opzione lodevolissima). Ma quanto perché, ancora una volta, sembra che sfugga il significato di «riserva». In effetti, il tratto di costa bruciato dalla mano criminale non ha distrutto solo specie vegetali sostituibili (che una nuova piantumazione potrebbe recuperare). Ma ha prodotto qualcosa di irreversibile. Ha distrutto l’ecosistema che fondava l’esistenza stessa della «riserva naturale». Per essere più chiari. Un’area può essere qualificata come «riserva naturale» (e sottolineo il «naturale»), in base agli ecosistemi «naturali» che la costituiscono. Se scompaiono questi (come è accaduto nel rogo), scompare la stessa «riserva». In sintesi, il luogo resta – una spiaggia con falesia retrostante –. La riserva che lo definiva come «unico e insostituibile», no. Come si può ben intendere, non si tratta solo di un danno ambientale (in qualche modo recuperabile). Ma della morte stessa di quell’ecosistema!
Vale la pena ripeterlo. La parola chiave di una riserva naturale è «ecosistema». Ed è sufficiente consultare un qualsiasi dizionario della lingua italiana per rendersi conto del significato di questo vocabolo. Vale a dire: «l’insieme degli organismi viventi (fattori biotici) e della materia non vivente (fattori abiotici) che interagiscono in un determinato ambiente costituendo un sistema autosufficiente e in equilibrio dinamico».
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Come si può capire, quella di Punta d’Erce non è un’area qualsiasi in cui una nuova piantumazione delle stesse specie può risolvere il problema. Perché se ciò fosse vero, non parleremmo di «riserva naturale», ma semplicemente (si fa per dire!!!) di un’area verde devastata da una mano criminale. E allora che cosa sono le «riserve naturali» per lo Stato italiano? Lo apprendiamo dall’art. 3 della legge 6 dicembre 1991 n. 394 entrata in vigore 28 dicembre dello stesso anno che le definisce in questo modo: «Le riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più. specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche».
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Non
so il perché. Ma mi è tornato in mente quel monito oggi ancora visibile che,
nel giorno delle Ceneri del 1844, gli antichi abitatori del Vasto avevano posto
sul pronao del Cimitero della città: «resurrecturi
quiescimus». Che vuol dire: «riposiamo per risorgere». Già. Adesso
è tutto più chiaro. È proprio questo il tema su cui insistere. Lasciar riposare
la natura, perché possa risorgere come essa vorrà. Il resto è «defensa».
(Foto Mercurio Saraceni) |
(Foto Mercurio Saraceni) |
Di «Defenza», parlo
per la parte arsa della riserva. Anzi, di «Defenza della riserva di Punta
d’Erce». Magari, con l’apposizione nell’area di un semplice cartello che,
indicando il programma culturale di conservazione che lo sottende, possa recitare
quanto segue:
IN ATTESA DI RISORGERE
LA NATURA RIPOSA
Pubblicato da Mercurio Saraceni
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